I piani nella pratica yogica
La Pratica Yoga
I piani nella pratica yogica
Pavimento, Muro, Piano Inclinato
Quando pratichiamo yoga, spesso non ci chiediamo: quale ruolo possono avere certi piani, dove noi appoggiamo le mani, i piedi, ecc.? Quali forze mettiamo in azione e quali riceviamo?
Siamo talmente presi dall’asana, da come eseguirla al meglio, che diamo per scontato che i piedi, le mani, la schiena, il bacino, ecc. poggino su di un piano, senza renderci conto di quale importanza possano avere quelle parti del corpo su di esso, e viceversa. Difatti, qui entrano in gioco i principi della fisica, il più conosciuto dei quali è: a ogni azione corrisponde un’azione uguale e contraria. Lo possiamo sperimentare sempre durante la pratica yogica, come pure nella vita di tutti i giorni.
L’appoggio dei piedi, per esempio, è diverso se essi sono a terra, al muro o su un piano inclinato posto al muro o a terra.
Non da ultimo, va tenuto presente come le forze si distribuiscano a seconda della proiezione del corpo nello spazio, quando un piede è al muro e l’altro è al pavimento, per esempio, o quando le mani sono al pavimento e i piedi al muro, e come tutto cambi di nuovo quando abbiamo a che fare con dei piani inclinati.
Le forze, come quella di gravità, quella centripeta, ecc. entrano in azione durante l’esecuzione delle asana e, a seconda di come è posizionato il nostro corpo, noi dovremo variare l’intensità delle nostre forze, per “contrastare” o “assecondare” quelle forze, affinché possiamo eseguire le asana.
In ogni momento, senza che noi ne siamo consapevoli, il nostro cervello svolge su tendini e muscoli una continua azione e retro-azione, in modo tale da mantenere costantemente nulla la sommatoria vettoriale delle forze che agiscono sui diversi punti di contatto del corpo con le superfici cui esso appoggia, ovvero mantenendone l’equilibrio (statico).
Anche quando l’equilibrio è già mantenuto da più punti di appoggio del corpo (ad esempio siamo seduti su una sedia, con le braccia che sfiorano il tavolo, i piedi che toccano il pavimento e la schiena che appoggia allo schienale), il cervello comanda ai muscoli del collo e della schiena di mantenere la posizione eretta piuttosto che china, contrastando continuamente la forza peso che altrimenti farebbe cadere per terra il nostro corpo, se pur seduto.
Muro, pavimento e piano inclinato sono punti di appoggio per il corpo: a seconda di come si pongono a contrastarne la forza peso, essi permettono un maggior o minor utilizzo dei muscoli che il cervello usa per mantenere l’equilibrio, ovvero mantenendo nulla la somma vettoriale delle varie forze in gioco.
Pensiamo a quando si lancia un boomerang: più forza si imprime al lancio, più forte sarà il suo ritorno. Lo stesso vale anche nell’esecuzione delle asana: più forza noi imprimiamo in una direzione, più quella potenza ci tornerà in modo più o meno violento. Il segreto è trovare quel punto o quei punti che saranno in grado di assorbire in modo equilibrato il “ritorno”, che dipenderà dal “lancio”.
Da ciò si capisce che dosare le forze, calibrarle nell’imprimere la spinta iniziale, o, quando si parla nello specifico di yoga, l’entrare nell’asana gradualmente e in modo consapevole, sia importante per la gestione di ciò che ci ritorna e che, se ben calibrato, darà stabilità e consentirà di “dormire” nell’asana. Diversamente, ci saranno instabilità, sofferenza e, da ultimo, disaffezione alla pratica. In questo caso, quello che succede è che, per la tenuta dell’asana, si vadano a coinvolgere parti del corpo che in quel momento non dovrebbero essere chiamate in causa, provocando un inutile spreco di energie, che alla lunga porterà uno squilibrio sempre maggiore tra le parti del corpo: la parte più debole aumenterà, e la parte più forte diventerà predominante. Tutto questo è all’opposto di ciò che lo yoga ci insegna.
Come si può intuire, fondamentale è un profondo ascolto di noi e delle risposte che ci giungono a seguito delle nostre azioni, per trovare un equilibrio dove tutti i contrasti decadono, e lasciare posto a quell’armonia che è l’anima dello yoga.
Il pavimento-suolo
Da quando abbiamo imparato a camminare, il nostro corpo e la nostra mente hanno sempre avuto come punto di riferimento il suolo-pavimento, dove i nostri piedi appoggiano.
Tale è l’abitudine a vedere il mondo dall’alto verso il basso e a mantenere la posizione eretta, che qualsiasi modifica a questo status quo porta sconvolgimenti e reazioni a volte esagerate. Diventare consapevoli delle forze che entrano in gioco già solo per il fatto di rimanere in posizione eretta rafforza il nostro equilibrio e la nostra stabilità. Pensiamo a Tadasana, la classica asana in posizione in piedi, detta anche della “montagna”. Il paragone è stringente, in quanto quell’asana dovrebbe esprimere forza, stabilità e massimo equilibrio; è come se dal nostro interno si sprigionassero quelle energie potenti che le montagne stesse, guardandole, sprigionano. Per fare ciò dobbiamo rivolgere l’attenzione alle forze che riceviamo quando i nostri piedi premono il pavimento: esse attraverseranno tutte le parti del nostro corpo, ascendendo verso la testa, che sarà proiettata anch’essa verso il cielo, come se dalla sua sommità un filo sottile la sospendesse in alto.
Essere consapevoli di questo è fondamentale per le asana, quando andremo a eseguire posizioni nelle quali l’equilibrio è più precario, cioè quando metteremo il nostro corpo nelle condizioni di ricercare la stessa stabilità di Tadasana per esempio rimanendo su di un piede, ed eseguendo con l’altra gamba posizioni tipo Vrikshasana o Virabhadrasana III.
Solo un’analisi attenta delle minime variazioni che entrano in gioco per l’esecuzione delle posizioni determinerà un equilibrio che parte dall’interno, esprimendosi nelle forme che noi vorremo eseguire.
Praticare yoga, come si dice, in mezzo alla stanza, a volte per comodità o per pigrizia, spesso comporta che non si presti molta attenzione a ogni particolare a cui il corpo dovrebbe rispondere. Così facendo, nel tempo subentreranno “abitudini” difficili da eliminare per lasciare spazio a una nuova ricerca, anima dello yoga. Nel tempo, se non tempestivamente corrette queste “abitudini”, sorgeranno blocchi sia nel corpo sia nella mente, convinti che ciò che eseguiamo sia corretto.
Non sto qui ad elencare tutte le asana dello yoga che si esprimono in plein air, compito che esula da questo mio scritto; andrò invece ad analizzare meglio quei piani che potranno essere utili nella “pulizia” degli errori “abituali” di cui sopra.
Per primo andremo a vedere meglio quel piano che, e ne scopriremo presto le ragioni, ha ottenuto un titolo oserei dire prestigioso.
Il muro
La pratica dello yoga è supportata spesso dall’utilizzo di attrezzi, come ad esempio la sedia, il mattone, il cuscino, ecc.. Essi hanno lo scopo di aiutare l’allievo a eseguire le posizioni quando, soprattutto all’inizio, non ha ancora certe abilità e/o conoscenza delle tecniche per eseguire molte posizioni yogiche. L’utilizzo del mattone o del cuscino, se non di una coperta, aiuta molto coloro che hanno difficoltà a rimanere seduti a terra con la schiena ben allineata e perpendicolare al soffitto/terra, per esempio con l’attrezzo posizionato sotto agli ischi.
Molti sono i casi in cui il prop si rivela di grande aiuto per l’allievo, anche nei casi in cui si cerchi il cosiddetto ostacolo: qui si tratta però di allievi con più esperienza, che possono cercare nel prop uno stimolo per superare delle difficoltà, per mettersi nelle condizioni di disagio, per stimolare alcune parti del corpo a volte sotto tese, e che solo in certe condizioni si percepiscono.
Di esempi se ne possono fare moltissimi, ma qui stiamo trattando, come si evince dal titolo, di un “attrezzo” particolare, a cui viene dato il titolo di “Maestro”. Stiamo parlando del “muro”, che normalmente, per le sue dimensioni e per ciò che rappresenta, non viene considerato propriamente un prop. Tuttavia, esso contiene tutte le caratteristiche dei cosiddetti props, già elencate in precedenza e che andremo ora ad analizzare.
Prima di tutto, cerchiamo di capire perché il muro viene considerato e chiamato “Maestro”. Se pensiamo ai muri delle nostre case, il muro maestro è quello portante, quello che non si dovrebbe “toccare” o “abbattere”, per non provocare il crollo della casa stessa. Oggi, con l’avvento di nuove tecnologie, ci sono anche altre tecniche, e il muro è spesso sostituito da delle colonne, che comunque hanno la stessa funzione del “muro maestro”. Colonna o muro, pertanto, riconducono al concetto di stabilità e inamovibilità, doti insite proprio in ciò che, nell’immaginario collettivo, riporta a un qualche cosa cui appoggiarsi con fiducia, a una difesa, a una protezione, a un sostegno.
Questi concetti ben ci stanno quando riportiamo tutto questo nella pratica dello yoga. Quando non si è nel mezzo di una stanza a praticare, spesso ci si posiziona alla parete (muro) della palestra, che funge da “maestro” durante l’esecuzione delle asana.
A un primo sguardo, questo potrebbe essere visto come un vantaggio, soprattutto per quelle posizioni dove è richiesto equilibrio, come per esempio in Vrikshasana (l’albero): l’esecuzione rende molto più sicuri, perché una parte dell’esercizio viene svolta dal muro stesso (o colonna).
A un’analisi più sottile, però, ben altri aiuti scaturiscono dall’utilizzo del muro, come una precisione più accurata nella pratica dell’asana stessa; basti pensare alla posizione appena richiamata, Vrikshasana, dove è possibile sentire meglio il movimento del ginocchio verso il basso e indietro, mentre il piede e soprattutto il tallone spingono contro l’interno della coscia della gamba a terra, e viceversa. Con una mano possiamo sfiorare il muro per mantenerci in equilibrio, e portare l’attenzione anche al movimento del pube, delle costole fluttuanti, ecc..
Pensiamo giusto per un momento anche a Sirsasana (posizione sulla testa): il solo pensiero di avere il muro alle spalle ci rende sicuri e protetti da cadute; basterebbe infatti che un piede toccasse il muro per evitare la caduta a terra.
Qui potrei elencare molte altre posizioni, ma affronterò l’esecuzione con il muro più avanti; continuiamo intanto ad analizzare questo “attrezzo”.
Il nostro corpo è molto “furbo”, e possiamo accorgercene soprattutto quando pratichiamo liberi, senza nessun prop o sostegno. Il corpo cerca di aggirare la parte più debole, quella che fatica di più, a vantaggio di altre parti più duttili, più forti e più sicure, che ci conducono nella nostra zona di comfort. Questo, nel tempo, porterà a un aumento della parte del corpo più forte e a un indebolimento di quella più debole, fino ad annullare e a bypassare l’anello di congiunzione tra le due parti, creando sempre più squilibrio, il che porterà quasi sicuramente a generare blocchi anche dolorosi, difficili da percepire e da riconoscere se non con scuse del tipo: non posso, la mia natura è così, ecc..
Quante volte ci siamo trovati in questa situazione, soprattutto all’inizio del nostro cammino yogico. Troppo grandi l’orgoglio e la presunzione del neofita, soprattutto quando si proviene da ambienti sportivi, dove il “movimento” e la “prestazione” sono all’ordine del giorno. È dura abbattere il muro delle scuse sopracitate e accettare l’idea che, con “umiltà”, si dovrebbe riconoscere che vanno ricostruiti passo dopo passo alcuni movimenti acquisiti e dati per buoni, per rivederli sotto una nuova luce. Attenzione che questo lavoro di revisione non va mai abbandonato, perché è propria dello yoga una ricerca senza fine: guai sentirsi arrivati, segno che dello yoga non si è capito nulla!
In questo il muro è sicuramente un grande maestro.
Maestro anche perché “non perdona”, non si lascia commuovere, non ammette scuse, non lo si può ingannare come quando siamo in mezzo alla stanza, e mentiamo a noi stessi eseguendo le asana convinti di aver tenuto conto di tutte le parti del corpo che quella posizione richiede. Magari dall’esterno uno potrebbe vedere la posizione perfetta; ma sappiamo che lo yoga lo si pratica dall’interno: siamo soli con noi stessi quando eseguiamo le asana, anche se siamo in compagnia di altre persone, come accade in palestra.
Il muro percepisce se qualcosa non è al suo posto, ed è qui che noi entriamo in conflitto con il muro, ma è una partita persa! Con accettazione e con calma, si deve cercare ciò che il muro ci suggerisce.
Una mente serena e aperta, votata all’ascolto, sicuramente percepirà ciò che il Maestro, in senso lato, cerca di trasmetterle. Anche il muro ha un suo linguaggio, silenzioso ma allo stesso tempo chiaro e potente.
Andiamo ora ad analizzare alcune asana con l’ausilio del muro, per meglio capire l’incidenza che esso ha su alcune parti del corpo, altrimenti silenti.
L’esempio di Utthita Hasta Padangusthasana, che è una posizione in piedi su una gamba, può senza dubbio chiarire il ruolo del muro.
Questa asana, di per sé, è sicuramente una posizione di equilibrio, per cui, nell’esecuzione, la nostra mente e il nostro corpo sono orientati al suo mantenimento, perdendo di vista le azioni di parti del corpo fondamentali per l’asana stessa. Un piede va al muro e uno è a terra; la gamba a terra è leggermente inclinata, e questo ci permetterà di sentire meglio la spinta della gamba al muro, cosa che in mezzo alla stanza, con la mano che tiene il piede in alto, spesso non succede, preoccupati come siamo da altri pensieri, primo tra tutti l’equilibrio. E poi la mano dovrebbe rincorrere il piede, non tirarlo…
Qui invece possiamo sentire come la gamba a terra spinga in alto; anzi, più il piede a terra spingerà in basso, più esso riceverà la spinta in alto che aiuterà la gamba a rimanere forte e ben dritta, evitando la flessione del ginocchio, soprattutto quando la gamba al muro, ben distesa, spingerà al muro con il piede (tallone e monti delle dita, soprattutto dell’alluce). In questo modo, l’ischio della gamba al muro avrà più possibilità di indirizzare la sua azione verso il piede al muro, mentre l’anca, ruotando leggermente verso il basso, farà sì che la natica si abbassi, portando allineamento tra i due fianchi. I gomiti verso terra e indietro permetteranno al tronco di proiettarsi verso l’alto, con il mento parallelo a terra, le scapole profonde dentro (con la punta inferiore verso la colonna e i sacri iliaci), le fluttuanti dentro e il pube sempre allertato. Un occhio di riguardo lo dobbiamo al piede a terra che, leggermente aperto verso l’esterno, indurrà una rotazione della gamba che interesserà i legamenti profondi dell’anca e orienterà un lato del pube verso l’altro.
Questo dovrebbe essere ciò che avviene anche in mezzo alla stanza, con una mano al piede. Sicuramente la gamba a terra non avrà la stessa inclinazione leggera che ha quando l’altra è al muro, ma le azioni di cui ho parlato dovrebbero essere le medesime.
L’arte è quella di calibrare le forze, affinché la posizione risulti stabile e leggera. Difficile?! Ebbene, facile non è; ma con pazienza e determinazione, allenandoci con il nostro “Maestro Muro”, sicuramente in futuro faremo dei progressi.
Non dimentichiamo, comunque, che anche la posizione al muro ha una sua dignità, per cui possiamo benissimo scinderla da quella classica e viverla come una nuova posizione “al Muro”.
Piano inclinato a terra
Ora posizioniamo una tavola piccola o grande a terra, con sotto un travetto, per ottenere un piano inclinato. La tavola può essere posizionata vicino a una parete (muro) oppure no, a seconda del tipo di lavoro che si vuole fare.
Con la tavola, il collo del piede sarà esteso (angolo ottuso), oppure farà un angolo acuto. All’apparenza questo sembra non apportare alcuna variazione nell’esecuzione delle asana, ma vi posso assicurare che quella variazione del collo del piede porterà a un nuovo assetto di tutte le parti del corpo, che, per eseguire le asana, dovranno cercare nuovi punti di forza, o almeno riequilibrarli.
A seconda dell’orientamento del piede, in discesa o in salita, nelle asana potremo incontrare più o meno difficoltà. E anche quando tutto potrà sembrare più facile durante l’esecuzione, il giorno dopo il corpo accuserà le variazioni imposte alla postura, e questo sarà significativo di quanti punti di osservazione, anche reconditi, una posizione richieda. L’equilibrio stesso cambia ulteriormente, accrescendo le difficoltà oppure diminuendole.
Se poi, pur mantenendo i piedi sulla tavola inclinata, appoggiamo parti del corpo al muro, come ad esempio per Uttanasana (bacino o schiena), oppure, nell’asana presa in esame trattando il Muro “Maestro”, Parivrtta Hasta Padangusthasana, con un piede sulla tavola inclinata e l’altro a al muro, noteremo quanto dovremo variare la distribuzione delle forze e quali parti del corpo dovremo attivare per eseguire quelle stesse asana.
È una scoperta, o, meglio ancora, una ricerca profonda di ogni asana, in ciascuna delle quali andremo di volta in volta a scoprire dettagli infinitesimali sui quali, magicamente, saremo costretti a fare luce, per un adattamento alle molteplici proiezioni del nostro corpo nello spazio, unita a un grande adattamento della mente.
Questo, secondo voi, non è vita? Essere allenati ai cambiamenti della vita, soprattutto agli accadimenti repentini e inaspettati che spesso essa ci presenta, è proprio dello yoga. Assecondare la vita senza mai perdere la rotta, rimanendo spettatori e autori allo stesso tempo, presenti in ogni momento, aiuta a prendere decisioni serene e a non essere travolti dall’emotività, fonte di grande sofferenza.
È interessante anche eseguire Sirsasana su di un piano inclinato, esperienza che si può fare su un terreno scosceso in montagna, per esempio. Quanto si deve portare il bacino all’indietro per poter sollevare le gambe unite e ben distese, per trovare quel punto di bilanciamento necessario per non usare in modo scorretto la forza; oppure quanta meno se ne deve usare se eseguiamo l’asana al contrario… In questo caso dovremo frenare alcune parti del corpo e attivarne altre.
Adesso andiamo oltre e vediamo il piano inclinato posto alla parete.
Piano inclinato alla parete
Proseguendo la nostra ricerca, ora poniamo la tavola (generalmente quella più grande) alla parete. Anche qui ci accorgeremo di quanto le asana possano essere vissute in modo diverso, solo per il fatto, ad esempio, di avere un piede a terra e l’altro alla tavola, con il collo del piede più o meno lungo.
Se poi porteremo i piedi alla parete e le mani a terra, ci accorgeremo ancor di più di come vari la distribuzione delle forze, e non solo. Avendo la testa rivolta verso terra, i punti classici di riferimento cambieranno e i comandi alla mente subiranno anch’essi grandi variazioni e adattamenti.
Se dovessimo elencare tutti i modi in cui i piani inclinati e non influiscono sulla nostra pratica yogica, la lista sarebbe lunghissima. Basta sperimentare e ricercare.
Ci accorgeremo così di quanto tutto questo influenzi la nostra vita, e soprattutto cominceremo a non dare tutto per scontato, ad adattarci al cambiamento per ritrovare equilibrio nelle nostre azioni e nelle nostre relazioni… nella vita!, e ad accettare il fatto che una ricerca continua porterà costantemente a dei cambiamenti sia nel corpo sia nella mente.
Ricordo le parole della canzone Todo cambia, scritta dal cileno Julio Numhauser nel 1982 e portata al successo dall’argentina Mercedes Sosa. Anche se le motivazioni del testo erano tutt’altre, le parole ben si addicono, a mio parere, alla ricerca yogica: sì, tutto cambia; ma non cambia l’amore per la ricerca di quell’armonia di equilibrio e serenità che è propria dello yoga.
Buona ricerca… infinita.
Namastè
Paola Polli, Senior Teacher Jyotim